Dopo il sorprendente debutto nel 2017 e varie collaborazioni di spicco, tra cui quella con Kendrick Lamar, l’artista inglese ha pubblicato il secondo album “Lahai” di cui abbiamo scelto “Suspended” per la nuova puntata di Soul Collection
Fonte: billboard.it
Sono passati cinque anni dall’album d’esordio Process, vincitore del Mercury Prize: Sampha, nel frattempo, ha collaborato con Kendrick Lamar, è diventato padre, ha lavorato su se stesso e sul proprio dolore ed è tornato a Lahai. In questo secondo disco, infatti, il cantautore e produttore inglese è andato alla ricerca delle proprie origini ed ha elevato in tutti i sensi la propria musica, sia a livello di suono che di mood. La speranza si è sostituita al lutto ed è diventata il sentimento guida.
Lahai, non è solo il titolo del nuovo album di Sampha, ma è anche il suo secondo nome, ereditato dal nonno. Cinque lettere che assumono una consistenza quasi solida e diventano la corda che tiene unito passato, presente e futuro. Il passato è rappresentato dalla Sierra Leone – dal quale il padre di Sampha è emigrato quando il cantante aveva solo tre anni – e dalla morte di sua madre, tema ricorrente del debutto.
Il presente, invece, segue il ritmo alla Steve Reich della drum machine e del loop di pianoforte MIDI di Stereo Color Cloud (Shaman’s Dream), sul quale l’artista inglese ricama melodie con la sua voce e una tastiera. Un’intro manifesto onirica che introduce i due temi centrali di Lahai: l’amore e il tempo. I demoni hanno abbandonato Sampha che ora può spiccare il volo.
Il ciclo della vita, che non si ferma mai e non tiene conto del tempo delle emozioni umane, parte dalla Sierra Leone. L’influenza della cultura Wassoulou dell’Africa Occidentale si mescola, infatti, all’elettronica nel singolo Spirit 2.0. Sampha, grazie alla paternità, ha trovato il suo posto nel mondo, un luogo sacro in cui “sognare ad alta voce”: «I think we found ourselves a sacred place, a place to dream out loud». Una sensazione di fiducia pervade finale con gli archi, dove subentrano anche i versi in coreano di Yaeji.
L’infanzia di Sampha è un elemento costante a corredo di tutto il disco e assume le sembianze del Gabbiano di Jonathan Livingston. Suo fratello Sanie, dal quale il cantante inglese ha imparato i primi rudimenti della produzione musicale, era solito leggergli quella storia. L’ossessione per il perfezionamento del volo del protagonista del romanzo è diventata anche parte di Sampha.
Il suo percorso interiore verso la trascendenza e la pace interiore è paragonabile a un volo tra generi musicali. Come avviene nella traccia centrale dell’album: Jonathan L. Seagull, scritta insieme al batterista dei black midi Morgan Simpson, unisce R&B e cori gospel con una linea di basso superlativa. Volo vuol dire anche migrazione. Inclination Compass parla proprio di questo e dell’innata capacità degli uccelli di sfruttare la gravità terrestre per seguire la direzione giusta.
La natura mutevole delle 14 tracce del nuovo album di Sampha, rendono Lahai un disco da ascoltare più volte per ottenere un’immersione completa nel flusso. Tuttavia, alcune canzoni hanno uno scheletro ritmico che le rende immediate e danzabili. In Dancing Cirlces il pianoforte e la danza sono protagonisti in una Londra dai contorni sfumati che sembra provenire da un’altra dimensione.
La produzione in collaborazione con El Guincho (Rosalía) crea suggestioni simili anche in Suspended, una ballad atipica ed eterea che travalica i confini del soul e del jazz, per finire nel territorio dell’hip pop nelle strofe. Il flow sincopato di Sampha è il racconto di una rinascita in cui il ricordo di un viaggio sotto il sole di Firenze si mescola al sogno. Se prima il rifugio era il vino, adesso è l’amore che conduce alla trasfigurazione. Lo spirito 2.0 può così mettere le ali e spiccare il volo.
Se si parla di beat e di rap, la traccia da prendere in considerazione è però il singolo Only. Accompagnata da un videoclip con protagonista lo stesso Sampha, la canzone è asserragliata dalle incursioni degli ottoni che fanno da collante tra la strofa e il ritornello in falsetto che ricorda vagamente Stevie Wonder. I proiettili – e i giudizi – ai quali tenta di sfuggire il cantante nel video, come nella vita reale, vengono spazzati via dal frullio delle ali di un uccellino.
La crisi esistenziale vissuta da Sampha si risolve nel ritorno alle radici e nella presa di consapevolezza di appartenere al mondo. Il legame interiore ed esteriore con l’Africa, lo si evince dalle immagini e dalle parole del corto LAHAI: Time Travel Memories. Il viaggio nel tempo di Sampha avviene sempre per mezzo delle figure femminili. L’album è disseminato di contributi vocali femminili: oltre alla già citata Yaeji, ci sono Sheila Maurice Grey (Kokoroko), Lisa-Kaindé Diaz (Ibeyi) e Léa Sen.
Le donne sono le protagoniste della musica di Sampha e rimangono presenze costanti al centro della narrazione di Lahai. Satellite Business è l’interludio che racchiude il nucleo del disco di Sampha: «through the eyes of my child, I can see you in my vision’ and ‘Thinking maybe there’s no ends, maybe just infinity, maybe no beginnings, maybe just bridges». Lo spirito di sua madre rivive negli occhi di sua figlia, in una catena della vita che si preannuncia infinita. Hip pop e metempsicos sulle note di un pianoforte, mentre sullo sfondo si possono percepire persino degli echi di Amatissima di Toni Morrison.
Il tema dell’immanenza ritorna in Evidence, una traccia bipartita: nella prima parte la tastiera tesse un tappeto ideale per una ballad, nella coda invece prevalgono i ritmi afro dettati dalle percussioni sui quali il falsetto di Sampha fluisce rapido. Il connubio tra realismo magico e afro futurismo è completato in Can’t Go Back, dove Sampha definisce sua figlia un dono del paradiso (She’s Heaven’s sent). Un brano metamorfico ed entropico ispirato, come il preludio Time Space, al documentario dell’astrofisico Brian Cox Wonders of the Universe.
Lahai di Sampha è un album che oltrepassa il concetto ormai antiquato di genere musicale per approdare in un mondo alternativo dove convivono sensazioni ibride. What If You Hipnotyse Me?, per esempio, uno dei brani più inclassificabili del disco, inizia come un pezzo pianistico per poi evolvere in una traccia elettronica nella coda di Léa Sen.
Per il proprio viaggio spazio-temporale l’artista inglese ha scelto l’amore come bussola. Tutte le rotte e tutte le note conducono lì. Dopo più di mezz’ora, ad ali spiegate, si giunge all’ultimo capitolo Rose Taint. Gli arpeggi delicati di pianoforte e l’atmosfera quasi psichedelica chiudono il cerchio. Il legame ritrovato da Sampha con la natura e con il cosmo rigenera anche gli ascoltatori. Basta lasciarsi trasportare dal flusso dell’esistenza.
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